proviamo un primo riepilogo
* gli strumenti di cui disponiamo e che utilizziamo per farci capire spesso lasciano scoperte molte zone grigie, si offrono a delle interpretazioni ambigue. Questo ha degli evidenti svantaggi ma offre anche degli inaspettati vantaggi poiché talvolta ciò che si capisce di quello che stiamo dicendo è più efficace di quello che intendevamo dire.
* il nostro ruolo nella comunicazione è un elemento di perturbazione, c’è qualcosa che ci spinge a comunicare che spesso non ha nulla a che fare con ciò che stiamo comunicando. C’e’ chi parla perché non sopporta il silenzio, c’è a chi piace ascoltarsi, ché chi si libera di un peso raccontandolo ad altri, c’è chi cerca compagnia. Tutto degno della maggior attenzione, nessuna obiezione è possibile. Le ragioni della comunicazione sono sempre misteriose ma importanti, almeno tanto quanto la comunicazione stessa. Questo deve sempre essere tenuto in considerazione.
* dovendo scegliere dei sistemi di riferimento, dovendo appoggiare il nostro ragionamento da qualche parte, optiamo talvolta inevitabilmente per delle verità stampelle, dei pre-giudizi aprioristici che ci servono per passare il guado del ragionamento. Talvolta questi apriori si impongono sulla comunicazione (ossia non ne sono più strumento ma arrivano a dirigerla) ed in questo caso subentra quello che si può chiamare divinità. Un valore giudicante superiore, non passibile esso stesso di giudizio, che influenza il senso della nostra comunicazione conformandolo a sè.
Fino a qui sembrerebbe tutto uno sfracello. Un mondo di soggetti inabili a dirsi alcunché dotati di strumenti spuntati.
In realtà, però, la stessa esistenza di una storia dell’umanità dimostra che il grado di tolleranza del sistema della comunicazione è molto elevato. E che il tempo aiuta.
L’essere umano ha avuto bisogno di tempi enormi per affrancarsi da pregiudizi animistici; credenze e superstizioni non sono scomparse ma si sono affinate. L’evoluzione della rappresentazione di sé procede lentamente, e probabilmente necessita dello sviluppo delle risorse materiali e delle organizzazioni sociali.
Scriveva Ludwig Wittgenstein:
Quindi dobbiamo fare molta attenzione ad applicare le nostre frettolose considerazioni sull’oggi ad un domani incerto e soprattutto è importante seguire il ritmo lento degli eventi.
In questa stazione, pero’, va dato un primo enunciato, imprescindibile e su cui si vuole basare tutto il ragionamento, se piace piace se no bisogna cambiare strada.
Si dà per postulato che ‘le cose, messe nelle opportune condizioni, tendono naturalmente a migliorare‘ o , per riprendere Wittgenstein, prima o poi, da solo o per merito nostro, il prurito passa.
Ossia si ipotizza che l’essere umano non sottoposto a delle catastrofi per lui incontrollabili sia in grado di elaborare gli strumenti utili a garantirsi una vita sociale via via migliore, affinando strumenti, intelligenza, e capacità di relazione.
Questo postulato, che è riconosciuto valido più per i bambini nei programmi pedagogici che per gli adulti che quei programmi dovrebbero scrivere, ha degli impliciti che è meglio enunciare da subito:
l’essere umano non è diverso (in potenza) dagli altri esseri viventi, ossia non c’è nessuna ragione che ci porti a pensare che sia favorito per ragioni altre che la sua stessa evoluzione
la storia è fatta di mutamenti e in questi mutano i contesti, gli strumenti, e le modalità di comunicazione.
nulla è dato a priori ma le cose avvengono secondo delle leggi a noi misteriose che dipendono dai loro rapporti.
Questo sarebbe quello che in filosofia si chiama materialismo se non ci fosse la parola “misteriose”, ma i tempi del materialismo erano i tempi delle certezze, oggi siamo su un po’ più zoppicanti.
Quindi ci aspettiamo che un progresso ci sia, naturale e indipendente dalla nostra volontà (e non ostante i nostri ed altrui errori). Ci aspettiamo anche che a questo progresso tutti siano chiamati a partecipare, secondo le loro possibilità, con la bandiera delle proprie ragioni.
tommaso, 26 aprile 2010