Chi è Luchè manco lo so, e non importa.
Si presenta con una bottiglia che potrebbe essere di Cognac (per intenderci quello da gran mal di testa la mattina dopo) in una casa anonima di una notte qualunque. È con un gruppo di amici, misto di etnie, ma tutti maschi. Sui venti/trent’anni.
«Quando presi il primo Rolex dissi bello»
Non ci crede neanche lui ma è chiaro che ci chiede di accompagnarlo.
«tutto intorno a me è semplicemente bello»
Non sorride, nessuno sorride. Si gesticola molto. Penso per impressionare l’osservatore.
Riprese in esterno, per strada, di giorno, Berger Road, E9 – London
«Quando lei va via scrive è stato bello»
Scrive, ma dove lo scrive? A chi lo scrive? Facebook? Twitter? Un biglietto sul cuscino?
Berger road è un quartiere residenziale a popolazione mista (in apparenza popolare ma non posso dire, dovessi passare da Londra ci andrei senz’altro). Comunque è l’ultimo posto dove verrebbe in mente di girare delle riprese in esterno di una cosa che si chiama “Bello”.
Tra l’esterno e l’interno c’è un sottopassaggio, in penombra
In casa, al buio.
Lei è appoggiata sul muro, sola. Capelli biondi lunghi, nella penombra inutile ed eterea presenza.
«tratto la donne come oggetto dei desideri
i suoi seni sono come ‘sti rapper, sembrano veri
mi parcheggio tra le gambe
trovo un buco in cui infilarmi»
però attenti:
«se la tocchi ti taglio un dito e ci faccio un portachiavi»
intanto i soliti loro (tutti maschi) gesticolano con fare aggressivo verso la videocamera.
Una retorica machista con un fare gentile, nessuno sorride ma ci guardano di là dal video e nessuno ci guarda male.
«noi premiamo grilletti non premiamo bulletti»
Qui la rima ha il sopravvento e alla poesia si concede tutto:
«se faccio centomila all’anno esco per le spese
atomo, se credi in me ti chiamo fratomo, se non ci credi ateo»
Questo è un messaggio nella bottiglia ad Atomo Tinelli? Piacerebbe saperlo ma temo non ce la faremo mai.
La musica, la stessa, qualche filtro usato bene e poi siamo sempre li. Ma è (T)Rap, l’immediatezza.
Stiamo sereni.
ft. Guè Pequeno
Guè Pequeno arriva a metà brano, 2.05”. C’era prima? Non l’ho visto.
lui fa più paura, anche con quella camicia a scacchi che in realtà fa un po’ ridere
si fa riprendere nella stessa casa, nel gruppo sta in penombra mentre ‘a solo’ ha un quadro di Bay alle spalle
non sorride, ridacchia come uno che la sa lunga
in casa tiene la felpa col cappuccio in testa come uno che si nasconde
all’esterno gira a volte con un cappuccio nero che richiama la simbologia di una certa destra aggressiva ed arrogante.
Più lesto, a volte troppo lesto, a parlare «c’ho picci e impicci fra amicci» e poi chi lo capisce è bravo…
Un tempo, si dice, i pittori usavano la commessa di un ritratto per sbizzarrirsi negli sfondi. Lì si concentrava il loro vero interesse e lì potevano esprimersi liberi dalle richieste dell’acquirente, sganciati.
Non so se Luchè rientri in questa casistica, né chi esattamente sia l’acquirente. Qui in effetti si vede una discreta sintonia tra il protagonista e ciò che gli sta dietro. Ed entrambi ai nostri occhi fanno a botte con il «tutto intorno a me è semplicemente bello» del ritornello.
Forse questo è il messaggio, consapevole e triste, che Louchè e Guè Pequeno ci consegnano: abbiamo dovuto imparare sulla nostra pelle ad alterare il senso delle parole e a non poterci sganciare mai dal market.
«penso fin troppo per uno che pensa solo a sé»
e questo forse è più vero di quello che ad una prima occhiata pare.
Ommot luglio 2017
(questo video ha avuto, nei suoi primi sette mesi di vita, più di un milione di visualizzazioni, qualcosa vorrà dire)