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adolescenze in crisi

Adolescenze in crisi, di cui sono piene le pagine dei giornali, quelle della cultura ma, ahinoi, anche quelle della cronaca, con il consueto insano equilibrio tra curiosità ed apprensione (l’informazione è oramai più una merce che un’arma. suo scopo è vendere e far comprare).

Tra gli adolescenti c’è un livello di sofferenza altissimo ma anche una potente tensione all’esserci

Gli tocca vivere in un mondo di cui gli è celata la storia e – soprattutto – a cui sono state cancellate le prospettive.
Davanti hanno il nulla, un presente moscio che diviene con un ritmo che è definito ineluttabile. Un’automobile da guidare su una strada segnata in mezzo alla nebbia. Senza averne le chiavi e di cui si conoscono solo i comandi essenziali.
La retorica di contorno è sempre uguale: “tutto sta cambiando”, “i lavori (e i valori) di domani non saranno più quelli di oggi”, “devi esserne capace”, “dovrai essere tra i migliori”, “vedrai” … e intanto BADAM scuola di merda, lavoro di merda, amici di merda, amori di merda, famiglia di merda e strazi a non finire.

Così, nel momento più delicato e potente della vita, ragazze e ragazzi sono portati a seguire pedissequamente i passi di un sistema in rovina. Per svagarsi prendono ansiolitici.

(diventa poi facile capirli quando l’umore non è ottimo)

Ahimé (o, diciamolo, ahiloro) il sistema sociale propone pochi ed inutili strumenti di emersione: competitività, performances, e schermi, schermi, schermi (per non parlare dei minori stranieri non accompagnati per cui l’ascensore sociale ha bottone per un solo piano, lo zero).

Il tutto in una collettività frantumata, fatta di individualismi e soggettività privi di un senso dell’essere comune.

Però ogni tanto qualcuno si salva, spacca, spesso risulta (o viene ficcato) nella compagnia dei più cattivi, costretto a pagare, talvolta, dei costi alti.
(ci) Sono degli intelligenti disagiati. Ma è vietato contestare. Chi ha delle obiezioni è un soggetto pericoloso, un complottista, un folle!

Non entro nel merito del lavoro della psichiatria (anch’esso evocato dai media), che può essere prezioso ma anche no. Questo argomento meriterebbe un seminario tutto per lui. Penso solo che questa disciplina non possa essere esente delle stesse incertezze dei suoi pazienti.
È finita l’era dei Basaglia, del territorio, della comunità. Il “welfare sociale” si è ridotto ad un “buono pasto”; il bisogno di servizi (casa – scuola – sanità) si è mutato in un bisogno di sicurezza; “la vittima”, anziché cercare di emanciparsi per smettere di essere tale, rivendica la sua posizione con orgoglio, ne fa una ragion d’essere, senza accorgersi che così si lega indissolubilmente alla sua sofferenza.

Questo per dire che gli adolescenti, i giovani, pagano più alto un prezzo che paghiamo tutti. Qualcuno forse si salva per aver conosciuto (anche solo per nome) il sogno di un mutamento radicale collettivo, per aver assistito al crollo (almeno temporaneo) degli imperi coloniali, per aver conosciuto un “Comunismo” che, con tutti i suoi difetti e le sue articolazioni, ai capitalisti ha fatto davvero paura (e a leggere certi commenti si direbbe che incredibilmente gliene faccia ancora 🙂 ).

A tutti dovrebbe essere richiesto di misurarsi con gli altri in quanto testimoni di una storia comune, che non sempre ci vede sullo stesso lato della barricata ma la cui istantaneità è figlia della stessa storia infame.

Non è facile e non è cosa che si impara o si insegna. È un sapere che si assorbe se si mollano un po’ i pregudizi, i piccoli orgogli, le vane certezze. Bisogna saper dormire bene.

Non è facile ma sapere che è possibile è già tanto.

Ommot, ottobre 2024

L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.
Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.
Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio
.

Italo Calvino, Le città invisibili (Torino, Einaudi 1972)

(illustrazione di Oznoz)


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